venerdì 25 luglio 2014

A sud del confine, a ovest del sole

Il libro di Murakami ha tutti i tratti caratteristici dell'autore. Prentesi aperte, finali non chiusi, narrazioni a più livelli.
E' un Murakami a tutti gli effetti.
Però in un certo senso mi è piaciuto più di altri suoi libri.
Come se avesse fatto un salto in avanti rispetto a Norwegian Wood, che già mi aveva lasciato molto piacevolmente colpita.

Parla (in prima persona) di un ragazzo e della sua crescita dall'infanzia fino alla maturità. O alla presunta tale.
Sì, perchè in Hajime resta sempre un vago sentore di inadeguatezza che lo aveva attanagliato fin da bambino.
Nato figlio unico in un periodo in cui tutti avevano fratelli, Hajime si scontra con una ragazza (prima bambina poi adulta) che è una contraddizione vivente.
Nella vita non conosce mezze misure e vede il mondo diviso in bianco e nero, però poi ricorrono nella sua dialettica termini come "forse" e "qualche tempo", che sono tutt'altro che netti.
Lei vuole da Hajime tutto, che lasci moglie e lavoro, ma poi non gli lascia niente, neanche un vecchio disco jazz.
E Hajime impara con sofferenza e tensione morale che accettare il grigio della vita è, forse, sinonimo di vera felicità.
Ma quanto male fa lasciare il bianco/nero?

Domanda aperta, detta e non detta. O almeno, domanda che io ho estrapolato dalla lettura del libro.
E non è sbagliata.
Accettare il grigio significa anche rinunciare al vero grande amore, ma impossibile, per abbracciare l'amore sereno e costante di qualcun'altro. Stesso per il lavoro e per i sogni.
Ed è difficile.

Saranno i parallellismi con il mio status, più mentale che altro, attuale a farmi fare certi ragionamenti ma il libro proprio qui si sofferma.
Chi ha il coraggio di andare sempre più a Sud e conoscere cosa c'è effettivamente a Sud del Confine, oppure di volgere lo sguardo a Ovest e scoprire da cosa è composta la terra a Ovest del mondo?

Qualcuno di radicale e forte, rispondo io.

Se esiste, aggiungo.




Seya

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